PROMESSI SPOSI E FAMIGLIA MANZONI
2AS LICEO MARTIN LATISANA
ALIMENTAZIONE
Manzoni nel romanzo ci descrive una popolazione che per la maggior parte vive al limite della fame e della miseria, privata di ciò che principalmente le serve per vivere: il cibo.
Gli stessi cibi poi hanno diversi significati, simbologia e differenzia le classi sociali.
Il primo “cibo” che incontriamo non è un cibo ma è il vino. Il vino (cap. I “il fiaschetto del vino prediletto di don Abbondio”) specie quello pregiato è consumato nelle tavole dei signori, ma nel primo capito sappiamo che vien richiesto da Don Abbondio alla Perpetua e lo usa quasi come medicinale per riprendersi dalla paura presa con i bravi. Spesso incontreremo il vino durante tutto il romanzo, nell’osteria del paese o nel IV capitolo quando fra Cristoforo va a parlare con Don Rodrigo, assume qui un significato quasi di sopportazione. Nello stesso capitolo ci vien presentato il dolore dello stesso frate quando vede per strada una fanciulla magra magra che teneva con sé una vecchia, secca vacca e che per fame doveva fare azioni che non sono considerate umane, come cercare di prendere le erbe che avrebbe mangiato l’animale, per portarle alla sua famiglia. Sempre Fra Cristoforo ci presenterà il pane (cap. IV “del pane del perdono”) con un significato simbolico quello “del perdono”, e ci ricorda nel dialogo intercorso tra lui e i famigliari del suo servitore “Cristoforo” morto quando lui partecipò a un duello. Il fratello di Cristoforo gli regalerà un pane che porterà sempre con se e significa che il perdono è sempre e comunque la cosa più giusta!
Nei capitoli XI, XII e XIII Manzoni descrive la rivolta del pane: esso ha un’importanza fuori dal comune. Renzo lo trova a terra sotto al crocifisso ed è di farina bianca. Renzo lo raccoglie e lo tiene come bene prezioso (cap. XI “era veramente un pan tondo, bianchissimo”). L’ultimo pezzo lo consumerà all’osteria con l’insegna della luna piena insieme allo stufato (cap. XIV “- Ho dello stufato: vi piace? - disse questo. - Sì, bravo; dello stufato.”) e lo chiamerà il pane della Provvidenza: dove non arriva l’uomo ci pensa Dio. Continua ad essere presente il pensiero che tutto è guidato dalla mano di Dio.
Nel III capitolo le “noci” che fra Galdino va a chiedere elemosinando di casa in casa e dove racconta “il miracolo delle noci”. Racconta che Padre Macario aveva compiuto il miracolo di ottenere noci da un albero oramai sterile, che il padrone voleva tagliare, con la promessa che metà del raccolto delle noci sarebbe andato al convento. Alla morte del padre il figlio tagliò l’albero rompendo la promessa e le noci si trasformarono in foglie. Le noci ci fanno capire l’importanza della fede, l’affidamento verso la divina Provvidenza, che aiuta gli umili e schiaccia i forti che ottengono le cose con inganni e forza. Quindi Manzoni si serve delle noci come simbolo concreto della giustizia divina e sottolinea l'importanza della costante fede in Dio.
Tra gli alimenti troviamo la verza di Perpetua (cap. II “con un gran cavolo sotto il braccio”) che porta sottobraccio, essa è l’ortaggio forte che sopravvive malgrado l’inverno: simbolo di tenacia e sempre di provvidenza.
Troviamo anche la polenta (cap. VI “una piccola polenta bigia, di grano saraceno”), che non è la polenta che noi conosciamo, il Manzoni la definisce bigia, ossia grigia, fatta con una mistura di diversi cereali meno pregiati del mais. Tonio la sta mescolando sul fuoco, attorno al lui tutta la famiglia. L’immagine che si presenta ai nostri occhi è triste, poco cibo per sfamare una intera famiglia. Tonio lo ritroveremo insieme a Gervaso e Renzo quando vanno nell’osteria del paese per definire i dettagli del matrimonio clandestino pensato da Agnese. Qui mangeranno polpette prelibate (cap. VII “porta un piatto di polpette prodigiose”),miracolose…assai lontane dalla sua semplice polenta con cui doveva cibarsi solitamente.
Sempre Agnese darà a Renzo nel III capitolo quattro capponi (cap. III “pigliate quei quattro capponi, poveretti!”) per ingraziarsi l’avvocato Azzeccagarbugli perché considerato “signore” quindi doveva essere omaggiato. I capponi sono cibo prelibato infatti ci viene riproposto quando Lucia nel XXV capitolo è a casa del sarto. È domenica, c’è la visita pastorale del vescovo è festa grande e quindi in tavola c’è il brodo (cap. XVIII “loro brodo? Basta il da fare che dànno a chi deve...”), servito con il pane e il bollito.
Infine la tazza di cioccolata calda (cap. IX “e le fu portata una chicchera di cioccolata”) data dalla Madre superiora a Gertrude, la monaca di Monza, quando deve entrar in convento. Essa è rara e quindi è simbolo di lusso e prestigio sociale.